lunedì 29 novembre 2010

Muffin di zucca dolci e salati

Finalmente qualche giorno fa mi sono decisa a sfidare le convenzioni sociali e sono andata al cinema da sola: non potevo aspettare una sola ora oltre per vedere Harry Potter e i doni della morte!
Sono una di quelle pazze maniache che conosce a memoria i libri, li ho letti persino in inglese. Sono una specie di nerd che trova le piccole discrepanza tra un libro e l’altro (come quelli che scrivono alla Marvel facendo notare incongruenze che solo uno che non ha veramente nulla di meglio da fare potrebbe trovare), che piange calde lacrime di rabbia se il film travisa il libro e che potrebbe, da un secondo all’altro, partire per andare in pellegrinaggio nel castello di JK Rowling.
Divenni fan di Harry Potter in tempi non sospetti, prima dell’uscita del primo film ed è tutto merito di mia mamma. Prima di andare in pensione lo scorso anno, ha passato metà dalla sua vita a traghettare giovani menti da uno stato di ignoranza brada ad uno di ignoranza consapevole per via di tutti gli ormoni nel corpo di un preadolescente. Si potrebbe anche definire un’alchimista, poiché passava il suo tempo a trasformare la cacca in oro. In breve, faceva l’insegnante alle medie. Essendo stata la responsabile della biblioteca per diversi anni, le toccava la piacevolissima incombenza di acquistare i libri (che invidia!), perciò, quando Harry Potter non era ancora il mago più conosciuto del mondo, ma solo il protagonista del primo libro per bambini, trovò che la storia era molto carina, e mi consigliò la lettura. Ovviamente dovetti snobbarla poiché un libro per bambini non poteva in nessun modo inserirsi nel panorama delle mie letture, ma visto che insisteva, alla fine cedetti e venni per sempre rapita da quel mondo magico. Visto che siamo in vena di gossip, vi dirò che sono follemente innamorata di Piton e che l’attore che lo interpreta nei film è in assoluto il mio ideale d’uomo!
Cosa c’entra tutto questo con i muffin? Visto che il film dura tantissimo, non vorrei avere un calo d’attenzione, perciò preparerò un bel kit di sopravvivenza con un muffin dolce ed uno salato! La zucca, ovviamente, deve essere l’ingrediente principale! Diciamo subito che non seguiamo la consueta procedura di preparare il composto liquido e quello solido e poi unirli, ma non preoccupatevi, i muffin riescono sempre, sono talmente facili e veloci da fare che spesso mi faccio prendere la mano e ne sforno troppi e per giorni interi non facciamo altro che mangiare muffin dolci e salati dalla colazione allo spuntino di mezzanotte.

Ingredienti per i muffin salati

300 g di zucca già cotta dell’orto di Hagrid
200 g di farina 00
Una bustine di lievito per torte salate
150 g di burro
100 ml di latte
Formaggio di capra (non sono i caprini frschi, ma dei semi-stagionati come quelli nella foto)
Rosmarino
Parmigiano grattugiato



Ingredienti per i muffin dolci

300 g di zucca dell’orto di Hagrid
200 g di farina 00
100 ml di latte
150 g di burro
Una bustine di lievito per dolci
Uvetta sultanina: una tazzina da caffè
Marsala
Noci: circa dieci
Miele



Preparazione.

La prima parte di preparazione è identica per entrambi i muffin.
Fate cuocere tutta la zucca alla nostra solita, collaudata maniera. I neofiti controllino la procedura nella ricetta degli gnocchi di zucca col gorgonzola. Assicuratevi che 600 g siano di zucca già cotta. Quando si è raffreddata frullatela insieme a tutta la farina, cioè 400 g,  e dividetela in due in modo da procedere alle due preparazioni.

I muffin salati:
Aggiungete all’impasto di zucca e farina la bustina di lievito per torte salate, 100 g di parmigiano grattugiato, il rosmarino sminuzzato, 150 g di burro completamente fuso e circa 100 ml di latte. Dico circa poiché dipende da quanto la zucca è già bagnata.
A questo punto mettete in ogni pirottino l’apposita cartina per muffin (si compra in tutti i supermercati) e riempiteli a metà. Sistematevi un pezzetto di caprino e ricoprite. Infine spolverate con altro parmigiano.



Infornate a 180° per 20 o 25 minuti, a seconda di quanto è umido l’impasto.





Muffin dolci:
Aggiungete all’impasto di zucca e farina il miele, la bustina di lievito per dolci, circa dieci noci spezzettate ma non troppo, il burro copletamente fuso e l’uvetta che sarà stata a bagno nel marsala almeno due ore, meglio quattro, a 180° per 20 o 25 minuti, a seconda di quanto è umido l’impasto.



In entrambi i casi, a fine cottura spegnete il forno e lasciate raffreddare tenendo lo sportello del forno leggermente aperto.



Buon appetito e buona visione!
Francesca

mercoledì 24 novembre 2010

Pollo alla greca

Recentemente ho ricevuto una spedizione di prodotti siciliani dai miei suoceri. Tra questi vi erano anche alcuni barattoli di olive verdi e nere, perciò ho pensato di preparare per stasera una ricetta semplicissima, a prova di idiota, a base di pollo, olive e limone, ed è per questi prodotti che si definisce alla greca, ma alla stessa maniera si potrebbe chiamare alla spagnola, alla siciliana eccetera. Fu una delle prime ricette che provai quando ancora vivevo con i miei, quand’ero ragazzina e andavo al liceo. Il risultato finale incontrò il mio gusto, ma i miei e mio fratello si guardarono bene dall’assaggiare il pollo… chissà perché? Ok, una volta alle medie provai a fare la crema pasticcera e, siccome ero troppo furba per seguire le istruzioni di una ricetta o di mia madre, ne venne fuori un panino “tirigno”, completamente immangiabile che propinai ai miei zii durante la consueta visita domenicale delle 18.00 e che nonostante questo mi vogliono ancora bene. Ma a parte quella circostanza non si sono più verificati strani incidenti di laboratorio, quindi la diffidenza della mia famiglia era scarsamente giustificata. Ecco.

Tornando al nostro pollo,

Ingredienti
Un pollo (non di quelli aperti per la griglia)
Una foglia d’alloro
Un limone
Una manciatina di olive nere
Una manciatina di olive bianche.
Due cucchiai di vino bianco
Uno spicchio d'aglio
Sale
Capperi sotto sale (facoltativi)



Preparazione

Come ho accennato, persino un bambino potrebbe preparare questa ricetta. Con questo non intendo che i bambini siano idioti, solo che l’esecuzione è molto facile in quanto la cosa più complicata è spremere il limone. Dunque fatelo, se siete in grado, e mettete il succo in un tegame provvisto di coperchio. Sistematevi anche il pollo pulito dalle sue piume e dalla ghiandola dell’uropigio, che sarebbe, per dirla alla piacentina, la ghiandola sul cicerone o boccone del prete o, per intenderci universalmente, sulle ultime vertebre sacrali. Nell’angolo del piccolo zoologo – può partire l’aria sulla quarta corda di Bach - approfondiremo oggi questo interessante argomento endocrinologico. Tale ghiandola dell’uropigio è presente in quasi tutti gli uccelli e ha un dotto che porta la sostanza secreta direttamente all’esterno. La secrezione viene sparsa col becco sulle piume per conferire loro una sorta di impermeabilizzazione.
Togliete solo la ghiandola (la cui secrezione ha un sapore amarissimo), non il cicerone o provocherete una sincope a mio padre!
Aggiungete nella pentola le olive, una presa di sale grosso, una foglia d’alloro, i due cucchiai di vino, uno spicchio d’aglio. Se vi va anche qualche cappero sotto sale, lasciandogli il sale. Non sono necessari altri grassi se non quelli che verranno dalla pelle del pollo.



Accendete a fuoco basso, fate cuocere con coperchio tre quarti d’ora, girate il pollo sottosopra e poi altri quarantacinque minuti. Sporzionate nel tegame con un trinciapollo e servitevi della morbidissima e aromatica carne e del delizioso sughetto che si sarà creato!


Buon appetito!
Francesca

martedì 16 novembre 2010

Agnello alla menta con salsa di melograno

Questa ricetta è il risultato di un conflitto interiore.
La prendo alla lontana, non vi dispiace, eh? Per cinque anni e mezzo ho fatto la volontaria in una colonia felina gestita da un’associazione di promozione sociale; ho smesso di andare proprio due settimane fa. Lo scopo era dedicare tempo alla cura di animali non domestici provvedendo alla loro adozione, cure mediche, sostentamento quotidiano eccetera. Nonostante alcune volontarie si definiscano così, io non amo il termine animalista che comprende spesso forme polemiche di protesta contro gli ingiusti trattamenti subiti dagli animali; non mi ci ritrovo. Tutto indicherebbe il contrario: sono stata attiva, non approvo la caccia come sport ricreativo e credo di avere una sensibilità particolare nei confronti degli animali.
E nonostante ciò mangio senza scrupoli carne di animali, uso scarpe di pelle e non disdegno un collo di pelliccia. So che è un abominio, ma non è altro che la pura, incoerente verità.

Per questo motivo ho avuto un fuggevole scrupolo a proporre una ricetta a base d’agnello. Non di meno, la carne di agnello, manco a dirlo, mi piace molto. Alla griglia, poi, è deliziosa. In questo piatto, tuttavia, la cucineremo molto semplicemente in pentola. La principale obiezione che viene mossa alla carne d’agnello (oltre a quella priva di senso degli animalisti, che se stessimo ad ascoltare loro e portassimo coerentemente all’estremo le loro affermazioni dovremmo nutrirci con le bacche che cadono spontaneamente dagli alberi, poiché è un attimo passare dal dire povero animale al povera pianta) è che “sa di selvatico”. Personalmente, non solo non mi da fastidio, ma credo che questa sia la proprietà che contraddistingue questa carne da un’ antisettica, beneducata, politicamente corretta fettina di manzo. Evviva le diversità! Comunque, per ovviare a questo punto, uso poco aceto per sfumare la carne al posto del vino bianco e questo procedimento la rende buonissima. Non rimane l’acido, al contrario una sorta di pungente dolcezza. La parte grassa dell’agnello sta molto bene con la componente astringente e un poco acida della salsa al melograno, che si prepara molto semplicemente dai chicchi passati in una centrifuga. Se non possedete un centrifuga o se l’avevate, ma poi vostra madre ha creduto l’oggetto idoneo a sopportare un passaggio di ciliegie, coi relativi noccioli, e la centrifuga non ha potuto fra altro che arrendersi per sempre, non preoccupatevi, vi spiego nella preparazione come fare ad ottenere il succo. La menta viene aggiunta con parsimonia in cottura e a fresco sul piatto pronto. L’agnello alla menta in salsa di melograno è un piatto molto semplice e veloce da proporre per una cenetta speciale o con ospiti, non solo perché è molto buono, ma anche perché le doti cromatiche del piatto assicurano una certa spettacolarità alla presentazione.

Ingredienti per due:

due melograni
una confezione di posteriore d’agnello tagliato per la cottura sulla griglia
una confezione di menta
dado vegetale di vostra produzione o in alternativa un trito di carote, cipolle, aglio, sedano, prezzemolo, sale.
Aceto bianco
Fecola di patate



Preparazione

Ungere con un velo invisibile d’olio una pentola con coperchio, versarvi un cucchiaio raso di dado vegetale o di trito di verdure e sale e far sciogliere per alcuni istanti. Quindi sistemate la carne d’agnello nella pentola assieme a cinque foglie di menta e fate rosolare bene da ogni lato a fiamma viva. Prima di abbassare sfumate con due cucchiai di aceto di vino bianco. Lasciate evaporare bene il tutto, quindi coprite. Cuoce un’ora a fiamma bassa. Se i pezzi d’agnello sono più alti di tre centimetri, allora allungate il tempo di cottura.

La salsa! Sgranate due melograni. Intanto che lo fate pensate al mito di Persefone o aprite la Wikipedia per rinfrescarvi la memoria e tenervi occupati http://it.wikipedia.org/wiki/Persefone .Tenete in disparte una manciatina di chicchi come decorazione finale e passate il resto in una centrifuga per ottenere il succo. In assenza di centrifuga: passate i chicchi nel mixer ed usate un canovaccio per separare i semi dal succo. Fate così: prendete un contenitore, adagiatevi sopra uno straccio che si possa macchiare, rovesciate il contenuto del mixer nel canovaccio e strizzate finchè smette di scendere il succo. Se non mi credete potete provare col colino e constatare che l’amalgama non permette alla componente liquida di scendere.
Depositare il succo in un tegamino e portare a bollore aggiungendo due cucchiaini di fecola di patate e aggiustando con poco sale e poco zucchero. La salsa è pronta quando è piacevolmente densa, ma non collosa.

Impiattate la carne, sistemate a lato la salsa (il galateo consiglia l’uso della salsiera in modo che ognuno possa versare la quantità desiderata di salsa), sopra tutto tagliuzzate con le forbici delle foglie di menta e decorate con i chicchi di melograno.



Buon appetito!
Francesca

sabato 13 novembre 2010

I verzolini

Tra tutti i dolci, magnifici prodotti della cornucopia di Madama Autunno, la verza merita un encomio solo perché con essa si possono produrre i verzolini. Mi piace molto sfogliare con delicatezza la verza per ottenere quelle grandi foglie, ma ancora di più mi piace quando, dopo due ore di odorosa cottura, si solleva il coperchio e si porta in tavola il tegame perché ognuno possa servirsi una generosa porzione di fagottini! Il verzolino è un composto di carne, salsiccia e formaggio avvolto in un involucro di verza. Proprio come un pacchetto regalo in una preziosa carta per pacchetti. La ricetta originale suggerisce di scottare le foglie di verza. Io la ritengo una pratica barbara ed inutile: intanto, scottata in acqua, la verza perde buona parte delle sue preziose virtù, secondo, non è necessario. E’ vero che  alcuni tipi di verza si sottometteranno alla vostra volontà impacchettante con una certa riluttanza, però ho scoperto che altri tipi più scuri, come per esempio quella che si trova sulle nostre colline piacentine, precisamente in alta Val Nure, sono docili mantenendo la loro elasticità.

Vediamo gli ingredienti per una bella pentolata di verzolini: ci si mangia in quattro e ne avanza per l’indomani, ma non fatene meno! Una pentolina con tre verzolini in croce vi condannerà ad una cena di tristezze.

500 g di macinato di manzo
L’equivalente di una salamella
Un uovo
100 g di parmigiano reggiano grattugiato
50 g di pane raffermo grattugiato
Dalle 10 alle 12 foglie di verza.
Un cucchiaino di dado vegetale (vedi la ricetta nel post del polpettone di pollo con cuore fondente di taleggio)
Dei pelati. Occorre aprire una grande parentesi. Non ha mai acquistato una sola scatola di salsa o pelati in tutta la mia vita e spero di non doverlo fare mai. L’abbiamo sempre prodotta in casa con i pomodori del nostro orto e con quelli del fittavolo in campagna. Quest’anno ne abbiamo trasformati due quintali. I pelati sono in realtà filetti di pomodoro cuore di bue senza semi che vengono messi a crudo nel vaso con un poco di sale e un rametto di basilico. Quando si apre è come rituffarsi nell’estate! Comunque, quello che volevo dire è che un scatola di salsa acquistata non potrà garantirvi la stessa resa in termini di profumo, sapore e sicurezza del prodotto: la prossima estate procuratevi dei pomodori da un coltivatore e realizzate da voi i prodotti sufficienti per il vostro fabbisogno annuale.



Preparazione

Impastate nel mixer tutti gli ingredienti tranne la verza ed i pomodori.
Deponete in una foglia di verza un cucchiaio abbondante di ripieno e richiudetela come se fosse un pacchetto.



Mettete i lembi aperti a faccia in giù direttamente in un tegame appena unto d’olio. Procedete così incastrando i pacchetti come in una puzzle.
Mettete i pelati e la loro acqua sopra i verzolini. Se sono acquistati mettete solo i pelati tagliati a striscioline e aggiungete dell'acqua perchè non attacchino al fondo della pentola.



Coprite e lasciate cuocere a fiamma bassa per due ore, in modo che facciano la loro bella “puccia”. Rigirateli una volta a circa metà cottura.



Buon appetito!
Francesca

giovedì 11 novembre 2010

Risotto con quartirolo e fegato

Duo o tre anni fa sono andata a mangiare per l’ultimo dell’anno da Suggerimenti, un localino a Piacenza sempre piacevole e rilassato che propone piatti dalle materie prime eccellenti, specialmente per quanto riguarda il pesce. Quella sera assaggiai il risotto che, alla mia maniera non professionale ed ingenua, vi propongo oggi.
Molti lettori storceranno il naso al sentire che la ricetta include il fegato. Io stessa ho votato la mia vita al non rifiutare di mangiare nulla e a trovare pregi in ogni papabile alimento solo da pochi anni; quand’ero più giovane mi facevo stupidamente vanto di non mangiare zucchine e fegato (più le altre budella, esclusa la trippa però, che mia madre cucina divinamente) più per presa di posizione che per reale insofferenza. In effetti, devo dire che non c’è un gusto che non sia di mio gradimento. Posso oggi affermare con orgoglio di essere una maniaca alimentare. Non esiste niente nei regni animale, vegetale e minerale che, se di ottima origine, ben abbinato e cucinato, non valga la pena di essere assaporato e venerato. Questa posizione tanto netta mi ha portato ad un certo estremismo, per cui guardo con un certo sospetto ai vegetariani in tutte le loro sfumature; a chi non assaggia i cibi per paura che non piacciano (ad esempio mia nonna Aurora non ha mai assaggiato una banana) o per poco interesse; a chi dice che un sapore non è di suo gradimento. So che è strano, anche io vorrei nutrirmi ogni dì con albicocche e ricci di mare, ma questo non significa che non mangi con entusiasmo tutto il resto!
Sapendo di essere destinata a rimanere una solitaria, golosa, incompresa, ingorda, vi lascio questa deliziosa ricetta.
In sostanza si riempie con del risotto un pirottino di metallo per fare i muffin, all’interno del quale si crea un cuore di quartirolo e fegato. Ho aggiunto anche della cipolla rosolata, poiché tradizionalmente fegato e cipolle si abbinano con successo (segnalo che nella ricetta originale non era presente). Si ripassa in forno per far sciogliere meglio il formaggio e si ribalta nel piatto. Il pirottino si toglie solo davanti all’ospite.

Ingredienti per 4 persone (badate: le dosi sono piccole, potrebbe bastare per due se il menù non prevede secondo)

Del fegato di vitello freschissimo
Un bicchiere di riso per risotti
Quartirolo
Vero brodo di pollo
Una cipolla dorata
Parmigiano grattugiato



Preparazione
Preparate così il risotto: tostate il riso per alcuni minuti assieme ad una noce di burro ed un cucchiaio di olio extravergine d’oliva, sfumatelo con del vino bianco secco (di solito uso uno spumante solo perché è il mio preferito, inoltre sta bene abbinato al piatto finito) e assicuratevi, odorando, che tutto l’alcol se ne sia andato. Quest’operazione si svolge a fiamma viva. Aggiungete un primo mestolo di vero brodo e abbassate la fiamma. Continuate a mescolare amorevolmente e aggiustate di brodo fino a completa cottura del riso. Inutile specificare che del volgare brodo di dado non è accettabile. A fiamma spenta mantecate con del parmigiano grattugiato.

Preparate così la cipolla: in una padella mettete a scaldare un goccio d’olio. Affettate metà cipolla con una mandolina, salatela per aiutare ad estrarre l’acqua e mescolate con una forchetta di legno finchè non è appassita per bene.

Preparate così il ripieno: tagliate a cubetti il quartirolo e, con delle forbici, ricavate piccoli pezzi di fegato, la superficie totale dovrebbe essere circa 1.5 o 2 cm quadrati. Il fegato è crudo: cuoce a sufficienza al contatto col riso caldo e negli ultimi minuti al forno.

Preparate per la cottura in forno: sistemate una parte di riso sul fondo e sui lati del pirottino, aggiungete qualche filo di cipolla rosolata, alcuni cubetti di formaggio, il fegato e ricoprite con altro riso. Coprite con stagnola. Infornate per 10 minuti a 220°.



Impiattate cosi: togliete la stagnola, ribaltate sul piatto da presentare all’ospite e, solo a tavola, sformate il risotto dal pirottino. Servite con altro parmigiano a parte.



Buon appetito!
Francesca

lunedì 8 novembre 2010

Insalata di salmone saltato con salsa Teryiaki, patate ed olive

I voli pindarici e le impennate di fantasia sono molto divertenti da realizzare in cucina. E’ bellissimo comprare tanti ingredienti, magari strani o esotici, o regionali, di stagione eccetera  e preparare piatti gustosi e sorprendenti per amici e parenti!
E’ anche vero, però, che spesso il fattore logistico del duo frigo/dispensa mette in croce tante cuoche. Inoltre, spesso avanzano semipreparati o ingredienti che magari –orrore- finiscono per marcire.
Quest’oggi voglio dare un esempio di come riciclare dignitosamente tre ingredienti di facile avanzo. Un trancio di salmone, una patata bollita e delle olive che giacevano in frigo inosservate dalla festa in costume che ho dato per Halloween.
Ne esce un’insalatina che può essere servita, senza sfigurare, come antipasto. Vedete com’è facile fornire dignità agli avanzi?!

Ingredienti per due persone:
Un trancio di salmone
Una patata bollita
Olive (nel mio caso nere e bianche)
Salsa Teriyaki (si compra nei supermercati i cui reparti etnici siano ben forniti)
Insalata mista
Olio di sesamo (se lo possedete)



Preparazione:

Togliete il nocciolo ad una decina di quelle olive che avete in frigo da un po’ e che non mangiate.
A parte fate intiepidire la patata ridotta a cubetti di circa mezzo centimetro di lato. Condite con un poco d’olio extravergine d’oliva e, se lo possedete, con uno di olio di sesamo.
Il salmone viene ridotto a cubetti grossi quanto quelli di patata e fatto saltare su di una piastra ben calda con due o tre cucchiai di salsa Teriyaki. L’operazione può essere svolta in una padella, ma mi piaceva l’idea di sentirmi un cuoco giapponese che usa la piastra teppanyaki…
Tenendo conto che non è bene che il pesce stra-cuocia, mettete i tre ingredienti sopra ad un letto di insalata (io la lascio scondita). Non sto a mescolare, perché non mi va che i sapori si smussino assieme, in questo caso mi piace individuare distintamente le fonti di sapore. Questo è anche il motivo per cui è così importante far in modo che patata e salmone siano a cubetti delle medesime dimensioni: intanto avranno temperature differenti, e al palato offriranno, pur sotto la stessa forma, emozioni diverse.
Finisco il tutto con una spruzzata di sale artigianale che ho comprato a Bali quest’estate da un vecchietto bruciato dal sole. La sua pelle aveva il colore del salmone bagnato di salsa Teriyaki.



Buon appetito,
Francesca

domenica 7 novembre 2010

Il Monte Bianco

Il giorno dei Santi è sempre stato per me fonte di gioia e scocciatura contemporaneamente.
Gioia perché quello è l’unico giorno dell’anno in cui la tradizione della mia famiglia ammetta che si prepari il Monte Bianco. Scocciatura perché, dopo il pasto, bisognava aspettare che gli adulti facessero non più di mezz’ora di pisolino e poi andare al cimitero ad ascoltare la messa. Ho ricordi nitidissimi di tutti quei primi di novembre: sempre lo stesso dolce; sempre lo stesso cappotto, collo di volpe che ad avvicinarsi odorava un poco di naftalina e cappello di mia nonna; stiparsi in cinque in macchina; raggiungere il cimitero in provincia; ordinarsi davanti alla cappella di famiglia salutando parenti che invariabilmente si stupivano di come io e mio fratello fossimo cresciuti (bè, certo non avremmo potuto tornare più piccoli, no?) e poi sottomettersi a quello che ad una bambina sembrava un supplizio: ascoltare la messa in piedi e fermi al frescolino del primo di novembre. In quei momenti mi prendeva il torpore di chi ha troppo mangiato e col pensiero tornavo alla panna spalmata sulle pendici del mio dessert…



Il Monte Banco o Mont Blanc è un dolce piuttosto diffuso nell’Italia nord occidentale, con le necessarie varianti che ogni famiglia vi apporta. L’ingrediente principale sono le castagne, o, meglio, i marroni, i quali subiscono un lungo e complicato procedimento scotta dita dopo il quale vengono passati al setaccio, amalgamati con cognac, panna liquida, zucchero e cacao in polvere. Già così siamo di fronte ad un composto resuscita morti, ma visto che non vogliamo farci mancare niente, sopra il tutto va spalmata una generosa dose di panna montata.
Inizialmente mia nonna produceva con questo prodigioso impasto una sorta di mattonella. Questo almeno fino a quando la Signorina Govoni, sorella del Capitano Arturo Govoni, allora e per sessant’anni presidente della Associazione Nazionale Alpini di Piacenza, non invitò i miei nonni a pranzo. Intanto che i signori si intrattenevano con aneddoti da uomo (possiamo immaginare: uno era il presidente dell’ANA, l’altro, il nonno Piero che non ho mai conosciuto, fu insignito del cavalierato al merito dal Presidente Saragat e premiato con una croce di bronzo al valore militare, una medaglia al merito di guerra più altre medaglie di cui su wikipedia non sono riuscita a capire il significato… ne avranno avute di cose da dirsi!) le signore si dedicavano a più umili discorsi. Fu infatti da quel pranzo che la nonna Emma decise di modificare la preparazione del Monte Bianco passando l’impasto nel passapatate, come fece la Signorina Govoni in quel pranzo che cambiò le tradizioni della mia famiglia. In sostanza si produce una montagna consistente ma soffice, e la panna riesce ad insinuarsi tra i vermicelli formati. Quando se ne prende una cucchiaiata è un’estasi: schiacciandolo contro il palato la freschezza grassa e zuccherina della panna è costretta ad un matrimonio con la pungente alcolicità del cognac ed alla concretezza farinosa delle castagne… è da brivido!
Da quel giorno il Mont Blanc viene preparato in questa maniera e, su gentile concessione della Signora Guglielmina, mia madre e attuale depositaria della ricetta, ve ne faccio omaggio.

Ingredienti:

un chilo di marroni
cacao amaro: tre cucchiai
cognac: due bicchierini
zucchero: sei cucchiai
panna fresca da montare.
Tre tuorli


A crudo stogliete la buccia più dura dalle castagne e fatene “balitti”, ossia bollitele con metà acqua e metà latte con un pizzico di sale finchè non sono morbide. A questo punto, quando sono incandescenti, montatevi il vostro secondo paio di mani, quelle in amianto, e togliete l’ultima pelle dalle castagne.
Ora passatele al passaverdure, non è lo stesso nel mixer, poiché rimarrebbero i granellini. Bagnate subito con cognac e mescolate in modo che raffreddandosi completamente non si formino grumi. Ciò significa che l’intera operazione va compiuta a caldo. Non odiatemi.
Con una frusta adeguata, montate i tuorli con lo zucchero e poi aggiungete anche il cacao amaro.
Unite all’impasto di castagne. Questo composto dura diverso tempo in frigorifero.



Quando è il momento del dolce scusatevi ed andate in cucina. Intanto che un aiutante monta la panna con un poco di zucchero (a velo o no? In questo caso mi piace sentire i granellini scrocchiare sotto i miei denti) preparate il monte così: mettete una quantità non eccessiva di impasto del passapatate e spremete con quanta forza avete in corpo cercando di conferire via via una forma che ricordi un cono o una piramide, o meglio il Monte Bianco stesso.


Spalmate la panna su tutti i versanti con una spatola. Infine distribuite tramite un colino ad un cucchiaino un velo di cacao amaro.
Consiglio di fare un monte adatto a soddisfare le esigenze dei soli ospiti e di riprodurlo in seguito con ciò che avanza poiché la panna si ammoscerebbe e i vermicelli si seccherebbero vanificando un pomeriggio di lavoro.



Buon appetito
Francesca

sabato 6 novembre 2010

"Polpettone" di pollo con cuore fondente di taleggio. Ovvero: Questo polpettone ha taleggio da vendere

Più che di una ricetta su tratta di un esercizio di economia domestica.
Mi ritrovo molto spesso ad avere grandi quantità di carne bollita poiché il brodo risulta indispensabile in un numero incalcolabile di preparazioni. No, il dado fa schifo e non è un’alternativa al vero brodo.
Personalmente mi piace molto la carne bollita, soprattutto quella di gallina, poiché è un ottimo accompagnamento per la mostarda, cosa che io adoro (Ne ho anche prodotto cinque enormi vasi lo scorso anno, ma diciamo che trattare con l’essenza di senape senza un’ adeguata maschera anti inalazioni si è rivelato un errore davvero moooolto grande nonché una terribile leggerezza da parte mia). In effetti dovrei dire che è la mostarda l’accompagnamento della carne e non viceversa, ma tant’è…
Purtroppo mio marito non è altrettanto entusiasta né della prima né, tantomeno, della seconda, così, come quando mi ritrovai ad affermare di fronte a delle sarde a beccafico che si trattava di involtini di pollo, devo giocare d’astuzia.
Il polpettone che preparo oggi è delizioso, succulento, non ne potrete più fare a meno e, per ottenere altra carne bollita, alimenterete un circolo vizioso a base di brodo, polpettoni, mostarda e pollo.
Realizzarlo è davvero una sciocchezza, perciò vediamo di partire dalla cosa più importante ed estrarre un buon brodo di prima. Questa espressione significa che otterremo il brodo da un solo tipo di carne, in questo caso quella di pollo. Allora prendete il pollo debitamente spennato e pulito e mettetelo nella pentola più grande che avete. Aggiungete due carote medie pulite, una patata media sbucciata, una cipolla gialla, una costa di sedano, un chiodo di garofano e due o tre foglie di alloro. Coprite con circa due litri d’acqua, una manciata piccola di sale e accendete il fuoco. Non si butta la carne al bollire dell’acqua come fosse pasta. Poi lasciate bollire, bollire, bollire. Cinque ore possono bastare. Ogni tanto date un’occhiata e togliete la schiuma che si va eventualmente formando. Uno volta pronto non fatevi distrarre dall’intrigante aroma tentatore che va diffondendosi per casa ed estraete il pollo senza smantellarlo assieme alle verdure.



Certo, visti così questi non sono che i resti del sacrificio immolati sull’altare del dio brodo, ma prendete nota di questi ingredienti e realizzate questo miracolo del riciclo e poi fatemi sapere.

Ingredienti:
Un pollo e le verdure che sono servite a fare il brodo
taleggio (quantità a vostra discrezione)
100 grammi di parmigiano grattugiato
Noce moscata.
Cipolla
Sedano
Aglio
Sedano
Carota
Prezzemolo


Preparazione:

Mettete nel mixer un quarto di cipolla cruda, uno spicchio d’aglio, quattro centimetri di carota, quattro di gamba di sedano, quattro ciuffetti di prezzemolo, la punta di un cucchiaio di sale fino e sminuzzate per bene. Questo è il dado vegetale, un preparato che a casa  mia si chiama “le verdurine”, più avanti ve ne darò la ricetta esatta assieme a quella di un composto vegetale salato per le carni alla griglia.
Spolpate il pollo dalle sue ossa e mettete la carne nel mixer assieme al trito appena preparato, alle verdure bollite, circa 70 g di parmigiano ed un’impertinente grattata di noce moscata.
Bagnate la quantità di carta da forno sufficiente a foderare uno stampo per plumcake e sistematela con attenzione.
Versate un primo strato di composto nello stampo



e quindi, longitudinalmente, create il cuore fondente di taleggio.



Coprite con ciò che rimane del pollo frullato e spolverate sopra altro parmigiano.
Infornate a 180° per circa 20 minuti coprendo con dell’altra carta da forno bagnata. Quindi togliete la carta e alzate a 200°  per altri 10’.



Buon appetito
Francesca

giovedì 4 novembre 2010

Pappardelle al pesto di noci e basilico con tartara di salmone al balsamico tradizionale servite con asparagi

Oggi è venuta a pranzare da me la mia cara e più vecchia amica Marianna.
Marianna ed io ci conosciamo dall’asilo, siamo state nella stessa scuola fino alle medie, ma anche dopo non abbiamo mai smesso di frequentarci. Questo è molto strano, poiché raramente capita che, crescendo, ci si sopporti ancora dopo quasi 27 anni di frequentazioni! Marianna è una di quelle amiche che non dovresti portarti in giro: alta e ben fatta, con un viso bello, quasi esotico che ti fa sembrare scialba anche con quello che credevi un abito perfetto e cinque strati geologici di trucco… con Marianna è bello anche starsene in silenzio senza sentirsi in imbarazzo, ma di solito abbiamo una tale quantità titanica di pettegolezzi da spiattellare che con i filosofici silenzi dell’adolescenza hanno poco a che vedere.

Cucino raramente la pasta, di solito quando viene lei o un’altra amica a mangiare a pranzo. Non c’è un perché, la pasta mi piace e non mi lascio certo intimorire da un piatto di carboidrati! Comunque, il piatto di oggi si compone di pappardelle all’uovo condite con un pesto di noci profumato al basilico e aglio, arrotolate nel piatto con una tartara di salmone bagnata con poche gocce di aceto balsamico tradizionale di Modena e servite con delle punte di asparagi al burro e parmigiano. Marianna ha definito il piatto divino, ma io mi accontenterei che qualcuno di voi lo trovasse invitante.

Passiamo alle raccomandazioni sugli ingredienti. Se non possedete il vero, originale aceto balsamico tradizionale non usate quello del supermercato. Non c’entra nulla col gusto che mi serve per la ricetta, è troppo liquido e aspro e vi prego, desistete dal versarlo sopra il salmone crudo! Raccomando un piccolo investimento per l’acquisto del vero balsamico, sarete sorpresi da quanti utilizzi ne ricaverete! In questo caso l’aceto fa faville col grasso del salmone!
Nonostante il titolo chilometrico, la ricetta si prepara in pochissimo tempo: 20’ ed è fatta!

Per quanto riguarda gli asparagi, permettetemi solo di citare Gabriel Garcia Marquez, L’amore ai tempi del colera, non ci sarà bisogno di commenti poiché è perfetto.

“… il dottor Urbino… prima godette del piacere istantaneo della fragranza di giardino segreto della sua urina purificata dagli asparagi tiepidi…

Ingredienti per 2 persone per tenersi in forze dopo una sessione di pettegolezzi:

3 nidi di pappardelle
10 noci
Uno spicchio d’aglio
Olio extravergine
Parmigiano grattugiato
Cinque o sei foglie di basilico
Otto asparagi
Un pezzetto di burro
Un trancio di salmone
Aceto balsamico tradizionale di Modena.



Preparazione:

Mettete a bollire l’acqua. Cuocete al vapore gli asparagi debitamente puliti per 10 minuti. Il mio forno a microonde ha un praticissimo accessorio che mi permette di cuocere a vapore,



se non lo possedete, potete procedere più tradizionalmente. Non vorrei che gli asparagi venissero sbollentati… ma se non si può fare altro… qualsiasi cottura scegliate fate in modo che non sembrino morti o molli alla fine del procedimento poiché li passerete a fiamma vivace in padella con un poco di burro, niente sale. Spegnendo il fuoco, spolverateli di parmigiano grattugiato e lasciateli al caldo coprendo con un coperchio.
Frullate i dieci gherigli di noci con lo spicchio d’aglio, due cucchiai colmi di parmigiano grattugiato e dell’olio versato a filo per rendere il composto umido, sono circa altri due cucchiai.
Riducete a cubetti un trancio di salmone prestando attenzione alle spine (che potrete eliminare con una pinzetta come quella per le sopracciglia).
Le pappardelle vanno cotte per pochissimo tempo, scolatele velocemente in modo che preservino un poco della loro acqua di cottura, quindi, rimesse nella loro pentola, conditele col pesto di noci. Usate un forchettone per arrotolarle come a creare un nido all’interno del piatto di servizio. Disponetevi sopra i cubetti di salmone e bagnateli con un cucchiaino di aceto balsamico. A lato della pasta sistemate gli asparagi.



Buon appetito, Francesca